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Premio M. La Greca “Grifone d’Argento 2019” – Intervento integrale di Edo Ronchi

<< Tre fattori sono molto importanti oggi: l’ambiente, la scienza e l’impegno civile: il coagulo di questi tre fattori caratterizza questo premio e il personaggio a cui è intitolato. Che l’ambiente abbia una grande importanza oggi è facile dirlo, tutti lo sostengono. Ma non so se tutti abbiano l’esatta consapevolezza del cambio epocale che sta avvenendo. Cambio epocale, sottolineo il termine. Non è un momento qualsiasi: questo è segnato dalla più grande crisi ecologica della storia dell’umanità, perché mai l’umanità si è misurata con una crisi ecologica comparabile a quella che viviamo in questa nostra epoca: una crisi climatica di queste dimensioni non si è mai verificata finora. Crisi ecologiche se ne sono susseguite tante, tantissime, ma di questa portata, di questa gravità non se ne sono mai registrate nella storia dell’umanità. La percezione che abbiamo di questa crisi, tuttavia, non corrisponde alla sua gravità perché altrimenti tutto ciò che facciamo non seguirebbe le priorità che invece continuiamo a seguire. Ogni tanto ce ne accorgiamo, o no, che esiste la crisi climatica? Proprio in questo momento siamo in allerta meteo rosso su tutta la Sicilia sud-orientale! Beh! 20 o 30 anni fa eventi di questo genere non erano conosciuti. In pochi decenni la crisi climatica sta peggiorando molto rapidamente. Ne abbiamo la corretta percezione? Non credo! Ma perché non riusciamo a percepire e quindi a reagire in proporzione alla gravità di questa grande crisi ecologica della nostra epoca? Perché, se proviamo a pensarci, la nostra specie si è evoluta col tempo metereologico che cambia. Per noi il cambiamento del tempo è connesso alla nostra esperienza umana. Non avvertiamo il cambiamento del tempo come un pericolo grave. Alcuni studiosi hanno fatto un paragone con la rana: come sapete le rane si sono evolute in piccoli specchi d’acqua dove le variazioni di temperatura sono piuttosto elevate, poiché l’acqua quando è poca si scalda e si raffredda sensibilmente in poco tempo e quindi è soggetta a un’elevata escursione termica. La rana non avverte i cambiamenti di temperatura come un pericolo: se voi prendete una rana e la mettete in una pentola di acqua fredda (non fatelo, l’hanno già fatto e non serve ripeterlo), accendete il fornello, la rana non salta fuori dalla pentola finché è bollita perché non avverte il graduale cambiamento della temperatura come un pericolo per la sua vita. Noi capiamo che qualcosa non va nel clima e spesso diciamo: “Eh! Non sono più le stagioni di una volta!… queste ondate di calore così frequenti!…”, però la nostra percezione come livello di priorità del pericolo non corrisponde al livello tecnico e scientifico di questo pericolo. Ecco quindi l’importanza della scienza e della conoscenza e l’importanza e il grande aiuto che ci fornisce la scienza e la conoscenza. C’è ancora chi dice: “… ma guardate, forse la responsabilità dell’innalzamento delle temperature non è dovuta soltanto all’emissione di gas serra!…”. A me non piace più neanche tanto discutere di questi argomenti perché li considero ormai superati, e non ritengo legittimo avere un’opinione diversa su questioni così serie. Se non conosci un fenomeno, studialo. L’effetto serra esiste realmente: se tu aumenti la concentrazione di determinati gas nell’atmosfera questi intercettano le radiazioni dell’infrarosso che arrivano dal sole e vengono riflesse dalla superficie terrestre, pertanto, maggiore è la concentrazione di questi gas maggiore è il calore che viene trattenuto dentro l’atmosfera, il che innesca il fenomeno del riscaldamento globale. C’è chi dice: “è una teoria”, ma si tratta di un meccanismo che si può replicare in laboratorio non di un’opinione! E si può verificare anche il cambiamento che ha subito la concentrazione dell’anidride carbonica, il principale gas serra, analizzando i carotaggi delle calotte polari: la concentrazione di tale gas fino a 800.000 anni fa era di 270-300 parti per milione, mentre oggi si registra una concentrazione pari a 413-414 parti per milioni di volume. Più aumenta questa concentrazione più la temperatura in atmosfera cresce: è un fatto chimico-fisico, non un’opinione. Se poi si misura l’andamento delle temperature medie globali e l’andamento della concentrazione dei gas serra, emerge chiaramente il parallelismo tra i due valori: il pianeta si sta già scaldando sia pure in maniera non omogenea. Mediamente di 0.9°-1° C, con alcune zone che hanno già superato i 2°-3° C. Ci troviamo, dunque, dentro questa grande crisi ecologica globale, ma da cosa deriva? All’inizio del ‘900, cioè nel secolo scorso, appena ieri, avevamo una popolazione mondiale di circa 1 miliardo e mezzo di uomini, mentre in un secolo siamo diventati 7 miliardi e 600 milioni: in tutta la storia dell’umanità 1 miliardo e mezzo, e poi, nell’arco di un solo secolo quattro volte quel numero, 7 miliardi e mezzo! Ovviamente il pianeta è rimasto quello, non ne abbiamo trovato un altro! Ma non è aumentata solo la popolazione: il consumo di energia all’inizio del ‘900 ammontava a circa 2 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio, alla fine del ‘900, cioè adesso, siamo arrivati a 13 miliardi e mezzo equivalenti di petrolio. L’aumento del consumo di energia è stato, quindi, notevolmente superiore all’aumento della popolazione. È peggiorato anche il mix di combustibili perché all’inizio del ‘900 gran parte di quel mix era legna, quindi non emetteva carbonio accumulato nelle ere geologiche; le emissioni di carbonio sono passate da circa 7 miliardi di tonnellate a circa 37 e mezzo miliardi di tonnellate perché consumiamo molti più fossili nel mix di combustibili per far fronte all’aumentato consumo di energia. Al contempo è diminuita la capacità di assorbimento degli oceani, dei suoli e delle piante (complice anche la deforestazione), di converso più gas serra, soprattutto carbonio, sono rimasti in atmosfera. Tutto ciò rappresenta un grande problema, e il riscaldamento, se progredisce con le stesse attuali modalità, sta creando, e ancor più creerà, tutta una serie di sconvolgimenti. Si tratta di un argomento ampiamente dibattuto nella Conferenza di Rio del ‘92, che ho seguito personalmente. Quell’evento produsse tre grandi convenzioni e una verteva, proprio, sul cambiamento climatico. Ma da allora gli effetti del riscaldamento globale che sono stati misurati hanno definito un quadro che, via via, nei 30 anni che sono trascorsi, è risultato peggiore delle previsioni. L’IPCC (Intergovernative Panel on Climate Change, che raggruppa 3.000 scienziati di tutto il mondo designati da 80 governi) ha prodotto 6 rapporti con scenari di previsione che in sostanza dicono che se la temperatura media globale supererà i 2° C, la crisi ecologica globale farà un salto di qualità, cioè ci sarà un innesco di reazioni che potrebbero rendere catastrofica la crisi ecologica globale, e in particolare: lo scioglimento dei ghiacci che riduce l’assorbimento delle radiazioni e determina l’aumento del livello del mare; la riduzione del permafrost con la conseguente emissione di metano; l’aumento dei processi di desertificazione. Si tratta di processi che si autoalimentano peggiorando complessivamente la situazione. Sono stati pubblicati fior di studi su questa materia, non è uno scherzo. Dobbiamo evitare di superare l’aumento di temperatura di 2° C, ma come si fa? Questa secondo me è la parte preoccupante del futuro, io penso che i giovani che in tutto il mondo stanno protestando contro i cambiamenti climatici abbiano ben ragione di scendere in piazza; essi hanno capito che fra 30 anni il mondo in cui loro vivranno potrebbe essere fortemente compromesso, e si sono mossi in milioni in tutto il mondo. È straordinaria questa cosa! Noi, forse più rane di loro, noi generazione più matura. non abbiamo avuto la stessa percezione, anzi alcuni hanno reagito in modo un po’ acidino: “…sta Greta chi è? sti gretini…”, invece d’accordo o non d’accordo quando i giovani si impegnano per qualcosa dovremmo tutti applaudire. In questo caso io penso che questo movimento giovanile sia fortemente motivato, siamo noi semmai, le altre generazioni, a non muoverci. Diciamo che questo è l’aspetto preoccupante, mentre c’è un aspetto estremamente interessante: una sfida di questo tipo obbliga a cambiare il modello di sviluppo e di civiltà. Una sfida entusiasmante, che reclama cambiamenti e nuove opportunità straordinari; si potrebbe innescare una diversa economia, un diverso sviluppo, un diverso modo di consumare, è una sfida di civiltà straordinaria. E guardate che questa sfida sarebbe deprimente se noi non fossimo in grado di affrontarla. Quelli che l’hanno studiata sostengono che noi abbiamo tutte le capacità e le conoscenze per affrontarla e vincerla. Noi oggi siamo in grado di fare a meno dei combustibili fossili e fa veramente specie che, invece, pur conoscendo questo scenario, ci mettiamo a esplorare nuovi giacimenti di fossili, pur avendo scritto e sottoscritto che dobbiamo puntare ad avere emissioni nette pari a 0 entro il 2050, come ha firmato anche il nostro governo e praticamente tutti i governi europei. La scelta di esplorare nuovi pozzi petroliferi, alla luce di tutto ciò, è veramente un’idiozia! E non dimentichiamo che nell’accordo di Parigi è scritto “stare sotto all’aumento di 2° C di temperatura”, il che vuol dire, come ha spiegato l’IPCC, emissioni nette pari a 0 nel 2050, secondo i paletti che abbiamo firmato quasi tutti, tranne qualcuno che poi ci ha ripensato. Fonti fossili ne abbiamo già troppe, non dovremmo utilizzare neanche quelle, figuratevi se dobbiamo cercarne altre, teniamole dove stanno perché il clima già non ce la fa a reggere quelle che già abbiamo scoperto e che non dovremmo neanche utilizzare. L’equilibrio climatico non regge la combustione delle fonti fossili, la prospettiva è di cambiarlo in modo drastico e irreversibile se dovessimo utilizzare tutti i combustibili fossili e non dovessimo invece limitarne e azzerarne l’uso. Per abbattere il loro impiego le tecnologie non è che le dobbiamo scoprire, oggi esistono già. Abbiamo capacità di generare energie da fonti rinnovabili ormai avanzatissime. C’è un costo lievemente maggiore e, certo, se noi continuiamo a incoraggiare l’utilizzazione dei combustibili fossili e non pensiamo neanche a una carbon tax sulle emissioni genereremo delle emissioni così pericolose e penseremo di tenercele gratis. È evidente che se tu non fai pagare una carbon tax non favorisci le energie alternative. Ribadisco, oggi noi disponiamo delle tecnologie per risolvere questo problema. E pensate che bellissima sfida; se invece di dipendere dal petrolio o dal carbonio o dal gas, che dobbiamo portare e scavare, potessimo usare le energie rinnovabili, che abbiamo disponibili sul territorio sotto varie forme: sole, vento, biomasse, geotermia, maree e chi più ne ha più ne metta. Qual è il vantaggio dell’energia rinnovabile? Che crea lavoro anziché bruciare combustibili fossili. Una delle differenze fondamentali delle rinnovabili rispetto alle fonti fossili è che le prime richiedono più occupazione, generano ricchezza distribuita e non sono concentrate in mano a poche multinazionali, che vendono l’energia a caro prezzo. Si tratta di un bene distribuito, che si può utilizzare sul territorio avendo ormai la tecnologia per poterlo fare. Certo bisogna rivedere le reti energetiche e c’è il problema degli accumuli. Non sto dicendo che è una passeggiata, è una sfida, però una sfida che si può gestire attraverso due elementi che sono legati: uno è la produzione dell’energia, l’altro è l’economia circolare. I giovani che sono intervenuti prima hanno dato un quadro dell’economia circolare. Economia circolare vuol dire usare le risorse in maniera efficiente e non sprecandole, ma più tu utilizzi i materiali e le risorse, più stai consumando energia, più mantieni nel ciclo delle risorse i materiali più risparmi in natura e più risparmi energia. Noi non possiamo più utilizzare un sistema ad alto spreco di materie prime e ad alto spreco di energia, non è più sostenibile. Vi ho citato i numeri dell’energia, ma quelli dei materiali più o meno seguono la stessa logica. Consumavamo 7 miliardi di tonnellate di materiali all’inizio del ‘900 e siamo arrivati a 85 miliardi di tonnellate nel 2015. La previsione al 2050 è il raddoppio ulteriore del consumo di materiali; e dove li troviamo tutti questi materiali? Sapete quante cave, miniere e territori dovremmo utilizzare per sostenere questo fabbisogno? E anche quanta energia? Invece la sfida climatica ci obbliga a usare i materiali e le energie in maniera efficiente: ma ciò è una cosa bellissima, è bellissima una sfida. Perché mai dovremmo prendere un materiale, consumarlo il più possibile e poi generare rifiuti che butto via? Creare prodotti che durano poco e non sono riparabili, che generano un sacco di rifiuti non riciclabili, con un sempre più veloce e maggiore spreco e minore efficienza economica. A me piace la green economy perché credo che noi abbiamo anticipato il ragionamento sull’economia in modo ragionevole. Ogni tanto anche gli ambientalisti qualcosa l’hanno azzeccata. Mi ha colpito il Nobel conferito a Nordhaus l’anno scorso, un grande economista. L’ha preso partendo da una definizione dell’economia come utilizzo efficiente di risorse scarse per produrre e distribuire beni utili. Dico ma cosa c’è di strano in questo? Ma non è la cosa più normale e ovvia! Perché l’economia pensava che la ricchezza si generasse utilizzando risorse per produrre non beni utili da distribuire, ma più beni produci e meglio è?! Quella è la ricchezza?! No! No! Datevi una regolata! L’economia del futuro non sarà più basata sull’usare le risorse, ma nell’usarle in maniera efficiente. A volte le cose semplici sono veramente le scoperte più importanti. Per generare e distribuire beni e servizi utili, dobbiamo pensare al benessere come riferimento, al benessere qualitativo, non alla crescita del consumismo. Se costruiremo macchine sempre più grosse, sempre più inquinanti, che congestioneranno il traffico della città e se la nostra specie sopravviverà, quando gli archeologi del futuro studieranno la nostra epoca, è certo che qualche dubbio sull’evoluzione dell’Homo sapiens se lo porranno: “Che cavolo! Questi stavano in queste città, che erano belle, ereditate dall’epoca precedente, come le bellissime città italiane segnate dal barocco… e le riempivano di automobili!? Come cavolo gli è venuto in mente a questi che sembravano così evoluti?”. Eppure succede, riempiamo le città di queste macchine senza un senso razionale. Quante ore al giorno viene utilizzata un’auto? Quanta energia? Quanti materiali? Quanto spazio fisico occupa? Possibile che non riusciamo a immaginare una mobilità diversa? E, se la immaginiamo, dobbiamo poi realizzarla perché questo tipo di mobilità non è razionale, non è un uso economico delle risorse. La green economy sostiene questo. L’economia circolare sostiene che: “devi pensare al ciclo e nel ciclo devi inserire l’uso efficiente delle risorse per migliorare il benessere”. Ovviamente questo miglioramento del benessere richiede anche un altro elemento: una maggiore equità. Perché finché voi state in uno spazio illimitato, pensate al Far West, ce n’è per tutti e quindi chi riesce a prendere i vantaggi maggiori è stato fortunato, gli altri seguiranno, ce n’è per tutti. Se provate a ragionare invece sulla Terra come spazio ecologico limitato, beh! O questo spazio viene usato in maniera equa, o non può star bene nessuno. Quindi l’equità diventa una condizione di civiltà non perché io sia più egualitario, ma per stare bene tutti insieme a quelli che già stanno bene. Papa Francesco nella Laudato si’ l’ha colto molto bene questo legame e parla di ecologia integrata, del rapporto tra la dimensione ecologica e quella sociale dei problemi che stiamo affrontando. Perché finché le risorse sono sovrabbondanti per tutti chi ne prende di più pazienza tanto ce n’è per tutti, ma quando diventano scarse, come oggi, bisogna usarle garantendo un accesso più equo a esse stesse. Certo c’è chi dice: “io tiro i remi in barca, io sono più forte, più ricco e avrò meno conseguenze dalla crisi climatica; mi potrò difendere”. Francamente non so se ce la farà. Io non credo che questo sia il modo per affrontare una crisi epocale di queste dimensioni, ma c’è chi la pensa così, pur non negando più che esista la crisi climatica. Quando cominciai a occuparmene eravamo preoccupati che le famose sette sovrane del petrolio avrebbero investito miliardi di dollari per negare la crisi climatica: a un certo punto si sono arrese e hanno tagliato i fondi. Ci sono tuttavia quelli che, pur sapendo qual è la dinamica della crisi climatica, negano le politiche necessarie per affrontarla perché pensano di avere le capacità economiche e tecnologiche per difendersi e di fregarsene come singoli paesi o all’interno dei paesi. Io penso, al contrario, che questa sia proprio una scelta suicida sul piano delle prospettive per l’umanità. Invece, si tratta di una grandissima sfida che potrebbe consentirci di migliorare la civiltà umana, di farne una società migliore, di avere un’economia più efficiente. E questo ci rimanda al tema dei territori. Fino a non molti decenni fa non dico che fosse un lusso l’ambiente, però era considerato un aspetto secondario dalle società più ricche. Se applichi oggi questo modello ti dai la zappa sui piedi. Oggi la qualità di un territorio diventa la condizione fondamentale della qualità economica e delle sue potenzialità. Se non si è capaci di individuare i tesori del proprio territorio, di difenderli, di valorizzarli senza sprecarli, o deteriorarli, non si sta rinunciando all’ambiente, ma si sta rinunciando allo sviluppo di nuove prospettive per i giovani, le uniche prospettive non solo per questi territori, ma per tutti. E i territori che oggi sono in svantaggio, se si punta sulla qualità ambientale, saranno i territori del vantaggio economico. Concludo rivolgendomi in particolare ai giovani ai quali cito i versi di Edgar Lee Masters in una delle sue poesie: “Molte volte ho studiato la lapide che mi hanno scolpito: una barca con vele ammainate, in un porto. In realtà non è questa la mia destinazione ma la mia vita… E adesso so che bisogna alzare le vele…”. Cari giovani questo è un incoraggiamento a “mettersi in mare e mai restare in porto”. >>

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